Sono Vescovo titolare di Ravello da 15 anni proprio quest’anno. Ho seguito, seppur da lontano, e durante le mie visite, lo sviluppo di questa comunità con tutte le vicende che ha vissuto, belle e quelle meno belle. Quello che mi spinge ad affiancare questa avventura è la percezione che Ravello sia un dono che va condiviso. È una cosa così bella che tenerla per se, chiusa nei limiti della propria esperienza quotidiana, o del turismo, seppur altolocato, è poco. Soprattutto è poco per l’Italia, che conosce Ravello forse meno di altri paesi esteri. Credo che un’occasione di questo genere sia l’occasione giusta per rendere Ravello una eccellenza italiana condivisa e fruibile per tutte le culture italiane che diventerebbero molto più coscienti e riconoscenti per l’apporto specifico che questo luogo può dare. Apporto che non è solo quello della bellezza straordinaria dei suoi panorami ma è quello della sua cultura, della sua gente e della sua tradizione.
In un momento nel quale stiamo cercando di dare una dimensione europea, un respiro più ampio alle realtà locali, quando c’è un centro che ce l’ha già, perché andare a cercarne altri?
Quando penso alla Costiera amalfitana non posso non pensare alle navi che partivano da questa terra per andare ad incontrare, attraverso il commercio, popoli di tutto il mondo. Penso a persone che andavano a farsi stimare, a farsi amare. Io stesso ho studiato fonti armene datate XII sec. nelle quali si parla frequentemente della presenza degli ‘amalfitani’, termine con il quale si intendevano le genti della costiera tutta. Già allora quei commercianti avevano un’identità precisa. Se a Venezia togliessimo, ad esempio, la loro secolare storia di collegamento con il mondo orientale, cosa ci resterebbe oggi? Questo vale anche per la Costiera amalfitana. Quelle persone hanno portato con loro e in altri luoghi un’esperienza di scambio laddove c’era un’esperienza di guerra. L’abilità dei suoi commercianti riusciva a legare persone che altrimenti si sarebbero combattute. Questa è un’esperienza di pace, di intelligenza, di intraprendenza e anche un’esperienza religiosa. Pensiamo a tutte le reliquie che dall’Oriente sono state portate qui. Gran parte dei patroni delle nostre comunità sono Santi orientali che non erano conosciuti e che vengono conosciuti proprio attraverso questa esperienza di scambio di fedi.
Forse in nessun luogo come in Costiera l’immateriale e il materiale sono così connessi e così complementari. Mentre stiamo parlando, c’è una signora, probabilmente straniera, che sta dipingendo Ravello. Mi sembra il simbolo di tutto questo: c’è arte perché c’è natura, c’è natura che si fa arte, c’è ospitalità che nutre i costumi e ci sono i costumi dell’ospitalità e di una certa signorilità dei ravellesi che certamente si fa anche dono ai turisti. C’è il Festival che è l’esperienza della grande musica, ci sono monumenti straordinari, molti di ordine religioso, che sono una meraviglia… anzi potrebbe essere questa l’occasione per ridare a tutte queste realtà una collocazione degna per ricostruire quello che nel corso del tempo abbiamo disperso.
Da anni vivo in terre dove la disunione ha creato la guerra. Noi viviamo in un mondo che è molto prossimo alla guerra se non interviene qualche cosa che ci faccia rinsavire e ci faccia capire che vivere in un’area limitata che sta bene economicamente non è garanzia sufficiente per essere salvi nel futuro. Tutto quello che abbiamo potrebbe perdersi. Per cui questo patrimonio di universalità che la Costiera possiede deve essere messo al servizio di una contaminazione di culture che possa far vedere il lato positivo di quello che noi generalmente giudichiamo come un’invasione barbarica. Credo che in questa situazione mondiale estremamente precaria nella quale ripetiamo dei cliché che sono assolutamente desueti e inadatti a capire il pericolo che stiamo vivendo. L’esperienza della Costa d’Amalfi unita come Capitale della Cultura, con quello che ha significato nel tempo, potrebbe essere un contributo all’intelligenza del mondo di oggi per uscire dagli stereotipi che purtroppo i mezzi di comunicazione non esitano a diffondere.
Tra i tanti luoghi che amo in Costiera ce ne sono due che per me sono complementari: se voglio trovare il calore di un’umanità ancora accogliente, vado nella Piazza di Ravello; se devo andare in un posto per vivere lo spessore spirituale faccio la spola tra la chiesetta di Minuta e il Monastero delle suore Redentoriste di Scala dove vado, quando mi trovo qui, a celebrare quotidianamente la Messa. Due perle incastonate in una collana bellissima che mi ricreano come nessun altro posto al mondo.
La mia frequentazione con questi luoghi mi ha fatto vivere tantissime esperienze, una, molto divertente che mi fa ridere ancora oggi a distanza di 15 anni è questa: la prima volta che venni qui da Vescovo titolare incontrai una signora di Ravello, molto nota in paese, che mi fece tanti auguri e mi chiese di pregare per lei. L’anno dopo tornai e la rincontrai. La signora, con il suo inconfondibile accento ravellese mi disse: “Eccellenza, eccellenza, che piacere vederla, però, guardi, può cancellare le preghiere che ha fatto? Purtroppo da quando ha fatto la preghiera un fulmine ha colpito la televisione. Sono stata trovata a terra, lunga distesa e con un braccio rotto! Per cui per un momento distolga pure l’attenzione perché potrebbe essere pericoloso”. Questo aneddoto mi ha mostrato non solo la simpatia di questa signora ma anche la semplicità del suo cuore che le diceva e mi diceva: un po’ di misura in tutto!
La Costa d’Amalfi per me rappresenta un sogno che coltivo tutto l’anno sperando che il buon Dio mi conceda di passarci qualche altro giorno. È il sogno delle mie fatiche. È il luogo dove spero di poter approdare per qualche momento di serenità e riposo che mi ricarichi per assolvere al difficile compito che la Santa Madre Chiesa mi ha affidato. Venire qui è vivere in un tale concentrato di bellezza che mi bilancia l’anima.